Tiziano, un papà con la Fibrosi Cistica
Mi chiamo Tiziano D’Arcangeli e per quelli che non mi conoscono sono un paziente del reparto di fibrosi cistica alla soglia dei 40 anni. Ho sempre pensato alla vita come ad un’opera d’arte, un quadro sarebbe meglio dire, la cui messa in opera inizia quando nasciamo e termina con la nostra morte. Probabilmente si tratta di una deformazione professionale visto che sono un artista. O forse artista è troppo, diciamo, un creativo.
La mia opera inizia il 15 agosto 1982, e apparentemente non è delle migliori, visto che tra polmoniti e mal di pancia nel primo anno di vita non cresco neanche un centimetro. A poco servono decine di visite mediche in giro per Roma. Non so come, ma arrivo a 13 anni, passati per lo più con il fiatone, e senza capire perché quando giocavo a pallone ero sempre quello più lento, finché nell’agosto del 1995 recandomi per fare una spirometria al reparto di medicina sportiva del Bambino Gesù, un medico, un’istituzione di nome Attilio Turchetta mi vede e chiama a consulto un altro genio di nome Vincenzina Lucidi. In due minuti guardandomi la faccia, le dita e il torace formulano la diagnosi di fibrosi cistica.
Non avrò mai la certezza ma suppongo che se quel giorno non mi fossi recato in ospedale tutto quello che ho fatto da lì in poi non sarebbe mai accaduto e l’opera sarebbe rimasta incompiuta. Quel 30 di fev1 verrà triplicato, il 60 di ves più che dimezzato, e quello che mangio si trasforma in ciccia. L’opera può ricominciare e durante il diploma, mentre correva l’anno 2000 conosco una splendida ragazza di nome Patrizia, guarda caso un’altra artista, che sposo nel 2012. Nel 2019, dopo svariati tentativi di fecondazione assistita, nasce il tassello mancante di questo quadro, mio figlio Damiano.
Come per ogni genitore, non ci sono aggettivi che possano definire il bene che un padre può volere per un figlio. Lui è semplicemente il mio TUTTO.
Non starò qui a scrivere che avere la fibrosi cistica ed essere genitore è facile, perché non è vero. Destreggiarsi tra terapie, ricoveri, e ovviamente lavoro, in alcuni giorni è massacrante. Trovarsi nel momento in cui tu devi fare la pep mask e lui ha fatto la cacca; svegliarsi 2 ore prima per fare la terapia affinché quando si sveglia lui, tu hai finito e puoi dedicarti a lavarlo e dargli da mangiare, oppure portarlo a scuola e correre al dh.
Per non parlare di quando sei ricoverato e sai che qualsiasi cosa accade a casa sei impotente. Ma contestualmente aumenterà la tua voglia di vivere, di sopportare, perché lui sarà la tua motivazione più grande, infinita, e vorrai stare bene soprattutto per lui e per avere la possibilità di goderti i momenti con lui il più a lungo possibile e di apprezzarli ancora di più.
Per chi ha la fibrosi cistica le lancette dell’orologio corrono più velocemente di altri, e il timore di non essere presente alla prima comunione, o al suo diploma, o di non essere la sua guida nei momenti cruciali della vita, sono pensieri che si insediano nella testa e fanno passare le notti in bianco. Tuttavia proprio questi pensieri e queste paure ti spingeranno ad impegnarti maggiormente nelle terapie, a sopportare interventi chirurgici, esami invasivi e terapie endovena, finché un giorno ti renderai conto che tutto quello che hai sopportato e tutto quello a cui hai rinunciato, ti hanno portato a completare la tua opera, come la volevi tu.
Un generale cinese del V secolo diceva che ogni battaglia è vinta prima che sia combattuta. Inutile negarlo, la nostra battaglia è contro un nemico spietato, che spesso non lascia scampo e che non dorme mai. Ed è proprio per questo che le nostre motivazioni, la nostra voglia di continuare a vivere la vita, di vivere le nostre passioni, di far crescere i nostri figli, devono portarci a essere più forti del nostro nemico, di vincere la battaglia prima ancora che sia combattuta, affinché quando ci troveremo sul campo di guerra sarà lei a doversi arrendere.
Tiziano D’Arcangeli