La mia Laurea salata – di Francesca Cianfriglia

La mia Laurea salata – di Francesca Cianfriglia

“A tutte le famiglie maledette, specialmente alla mia, la migliore cura che possa esistere”.

Uno dei primi riferimenti storici alla Fibrosi Cistica è un antico proverbio che definisce questa malattia genetica una maledizione, un effetto del malocchio, in cui questi bambini salati, segnati da un destino infausto, vengono appunto definiti “bambini maledetti”: da bambina maledetta da ormai 30 anni, con questa dedica ho aperto la mia tesi di laurea.

All’età di 50 giorni di vita, nel 1989, mi viene diagnostica la Fibrosi Cistica per cui da quel dicembre vivo da bambina maledetta e non ho mai saputo cosa potesse significare avere una vita priva di maledizioni. Negli anni, come tutti, nell’altalena della mia vita spesso ho maledetto io stessa, me e la mia maledizione, a volte l’ho ignorata nell’ottica del “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, ma alla fine come spesso accade per ogni maledizione, mi sono ritrovata a volerla conoscere, per combatterla, poi per capirla e infine per capire me stessa. Ho sempre saputo che avrei dovuto capire il perché delle cose, per trovare una motivazione, una giustificazione, per spiegarlo a me stessa e per spiegare me stessa agli altri, quindi decido che sono carente nel respiro e nel produrre enzimi pancreatici ma riesco a studiare e mi piace. Dopo il liceo, decido di iscrivermi alla facoltà di Farmacia, non per la Fibrosi Cistica ma perché anche io voglio essere utile, nel mio piccolo, nel mondo, come molti nella mia vita sono stati utili a me senza avere nulla in cambio, perché voglio risolvere in maniera veloce con piccole soluzioni, piccoli problemi che altri mi rivolgono, perché credo nell’esistenza delle malattie ma soprattutto perché credo nella cura. E perché devo capire, devo sapere perché un antibiotico va preso due volte al giorno in momenti distanziati della giornata, quando invece io vorrei prenderlo in un’unica dose quando è comodo a me perché nella vita ho tanto da fare.

Gli anni universitari hanno coinciso con il periodo più complesso, mutevole, a volte sfiancante, ma comunque il più bello e intenso della mia vita. Sono stata molto male, come non lo ero mai stata, ogni volta è stata dura ricominciare e ributtarmi nel mondo. La mia vita sociale ne ha risentito parecchio, di cambiamenti ce ne sono stati molti e ce ne sono, anche in maniera violenta e per una per cui costituisce un evento traumatico anche cambiare la routine dell’areosol terapia giornaliera, non è stato facile. Ma come tutti i cerotti, fa male solo al momento dello strappo, nell’attimo successivo la mente già va avanti. Finisco per laurearmi il 20 marzo 2018 come Dottoressa in Farmacia con la tesi “La Fibrosi Cistica, il trattamento farmacologico”, dove analizzo anche il mio di caso clinico. Il parlare della mia maledizione durante la mia discussione di laurea è stato uno dei momenti migliori della mia vita, della mia maledetta vita. Scrivere questa tesi ha avuto un forte impatto sulla mia personalità ma mi ha spinto a guardarmi da fuori e solo così sono riuscita a rendermi conto di quanto in realtà io riesca ad avere una bella vita intensa.

Per questo devo ringraziare tutta la mia Famiglia, perché con me non hanno mai mollato, anche quando sono io a chiedere di mollarmi, perché mi aiuta a ricordare quanto nella vita io sia fortunata, quando penso di dimenticarlo.

La Fibrosi Cistica si è presa tanto da me, come per tutti i miei “fratelli genetici”, si prende tanto e continuerà a farlo. Ma allo stesso modo, non penso di essere in guerra, definisce chi sono, quello che cerco nella vita e ciò che so di poter meritare e raggiungere. Mi costringe ad aprire gli occhi, sulla brevità del tempo e sulla qualità del tempo, sulle persone, a capire chi può esserci ma soprattutto ogni giorno mi spinge a scegliere: finchè propenderò verso la scelta di ciò che è meglio per me, vorrà dire che la Fibrosi Cistica mi spinge a migliorarmi. E ho intenzione di farlo, anche se è tutto in salita e io odio “scarpinare”! Più di tutto mi ha regalato una vita piena di persone che sono diventate la mia famiglia e ciò che mi ha sempre reso diversa e “lontana” dagli altri, mi ha riempito di affetti, di persone e di vite. È così che Officium non è una associazione di famiglie, ma è la mia famiglia e il Bambin Gesù non è un ospedale pediatrico, ma è la mia seconda casa, che a volte si ama e a volte si odia, proprio come la prima di casa.

“woe to that child who tastes salty when kissed on the forehead. He is bewitched and soon must die”, “guai a quel bambino che ha un sapore salato quando viene baciato sulla fronte. È maledetto e deve morire”: con questa frase apro la discussione della mia tesi di laurea, da bambina maledetta la chiudo ringraziando tutte le persone che non solo mi hanno permesso di raggiungere questo traguardo, ma hanno anche fatto si che potessi essere grata alla mia stessa “maledizione”, che in fin dei conti ha definito quello che sono e che ogni giorno mi permette di considerarmi sempre e comunque, una fortunata nella vita.

Per Aspera ad Astra, attraverso le difficoltà fino alle stelle.

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